Le ultime immagini sono addirittura drammatiche: gelidi mulinelli che spazzano le pietre sulla desolata pianura marziana. Con la temperatura notturna che si avvicina al limite dei 100 gradi sotto zero, la sonda americana Phoenix chiude la missione che dallo scorso 26 maggio la vede in azione a 68gradi di latitudine nord sul pianeta Marte. Non è solo il freddo a impedire le operazioni, quanto il Sole, sempre più a lungo dietro l'orizzonte e ormai incapace di alimentare la macchina terrestre attraverso i suoi pannelli solari. Tutto previsto in verità, anzi molto meglio del previsto.
Cinque mesi nell'artico
Partita dalla Terra nell'agosto del 2007, la macchina esploratrice interplanetaria americana doveva operare per sessanta giorni ed ha invece lavorato per cinque mesi. Ha fotografato, registrato e analizzato i fenomi atmosferici e si è poi messa a scavare e ad analizzare ciò che c'è appena sotto lo strato superficiale del suolo marziano nella sua zona polare. Ha trovato il ghiaccio ed è stata in grado di dimostrare che si tratta proprio di quel materiale prezioso che noi chiamiamo acqua. Il suo momento di gloria l'ha vissuto all'inizio di agosto, quando i campioni raccolti dal braccio meccanico pochi centimetri sotto la superficie del suolo sono stati fusi e analizzati dal laboratorio automatico di bordo TEGA che ha registrato chiaramente la presenza di H2O.
La prova dell'acqua
Prima di Phoenix mancavano le prove. C'erano le fotografie e, soprattutto, le immagini dello spettrografo della sonda orbitante Odyssey, che nel 2002 aveva mostrato nel sottosuolo una presenza solida e compatta riconducibile all'acqua. La scoperta di Phoenix è arrivata dopo due tentativi falliti che avevano messo in crisi gli scienziati e paventato un grave fallimento: i "forni" di analisi - 8 scatole affiancate che analizzano automaticamente i campioni di terrriccio e ghiaccio - avevano infatti fallito i primi due tentativi innescando anche un pericoloso corto-circuito. Nel terzo tentativo il piccolo "forno" di Phoenix ha fatto invece il suo dovere. Appena portato il campione alla temperatura di zero gradi è partito il messaggio interplanetario (10 minuti di viaggio) che ha confermato la presenza di acqua.
Due miliardi di anni fa
"L'abbiamo finalmente toccata ed assaggiata, e dal mio punto di vista ha un buon sapore", aveva commentato durante la conferenza stampa della vittoria il professor William Boynton dell'università dell'Arizona che ha coordinato il progetto. La scoperta di Phoenix ha dunque ulteriormente rafforzato l'ipotesi geologica, secondo la quale fino a due miliardi di anni fa il Pianeta Rosso ha ospitato veri e propri oceani. Resta ancora da capire se quella fase di sviluppo sia durata abbastanza da permettere la formazione di forme di vita unicellulari, che potrebbero avere lasciato delle tracce fossili.
Un ultimo regalo
Dal 28 ottobre scorso Phoenix è dunque in una modalità di quasi ibernazione. Una tempesta ha ridotto ulteriormente l'irraggiamento e la macchina ha reagito com'è programmata a fare riducendo le attività. Ha sospeso tutti i circuiti periferici ed ha spento per sempre il braccio meccanico e le attività "di laboratorio". Resta la speranza di un ultimo regalo da Marte: magari un immagine dell'espansione della calotta polare che nelle prossime settimane dovrebbe raggiungere la sonda e avvolgerla per molti mesi.
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